martedì 27 novembre 2012

ARRAPAHO

(Id. 1984)

Regia Ciro Ippolito
Cast Urs Althaus, Daniele Pace, Tinì Cansino

Strano destino quello dei membri dello pseudo gruppo trash demenziale Squallor, paradossalmente i nomi legati a uno dei combo più scriteriati e irriverenti mai apparsi in Italia erano per la maggior parte produttori musicali e compositori di primaria importanza, Daniele Pace scriveva brani per la Cinquetti e Loredana Bertè (sua la mitica E la Luna Bussò),  Giancarlo Bigazzi invece compose Lisa dagli Occhi Blu e Luglio mentre invece Totò Savio firmò maledetta Primavera. A questi nomi poi si aggiunsero alcuni insospettabili come Gianni Boncompagni e, per un breve periodo anche Gigi Sabani. Insomma, mai il detto "le apparenze ingannano" fu più rivelatore per quanto concerne uno dei gruppi Cult degli anni '80.
Il film "Arrapaho" rappresenta, in questo contesto, l'apice del loro successo, che esulava dalla pura exploitation divenendo un vero e proprio fenomeno di costume in cui il brutto fa tendenza e l'idiozia diventa il tormentone definitivo di una cultura che andava imbarbarendosi sempre di più fino a toccare il punto di non ritorno. Ecco, "Arrapaho", in un certo senso, è il punto di non ritorno del cinema italiano di serie Zeta che conobbe grande successo e diffusione fino agli anni 90. Incapace di strappare una risata anche ad un decelebrato, l'immondo film di Ciro Ippolito, regista del cult del fanta-spaghetti  Alien 2 sulla terra, è un putrido collage dei migliori brani tratti dalla discografia degli "squallidi", resa purtroppo nel modo peggiore grazie all'estrema cagneria degli attori, non tanto del protagonista Daniele Pace (Palla Pesante) che come comico non avrà avuto futuro (pace all'anima sua) ma come logorroico tritapalle era messo benissimo, quanto per quello stuolo di attorucoli presi non so da quale cloaca estera che ciondola inutilmente nel film (tipo quello che interpreta Latte Macchiato) esemplificati mirabilmente dalla draiviniana Tinì Cansino che ha almeno il buon gusto di farsi vedere nuda in una delle migliori scene, quella della cascata con sottofondo di "O Tiempo se ne va".
Nota a parte invece meritano gli stacchetti pubblicitari e in particolare il divertentissimo Tranvel Trophy in cui il guidatore apre le porte e cicca in faccia il ciccioso passeggero che vuole disperatamente salire. Per il resto la saga dei Froceyennes e degli arrapaho è facilmente dimenticabile e si riassume perfettamente nel titolo finale "The Gay After", mal realizzata parodia di usi e costumi e film al tempo attuali ma presto relegati nel dimenticatoio della piattezza comune.

martedì 20 novembre 2012

STAR BABE

(Id. 1977)
Regia Jack Genero
Cast Christine Kelly, Tomi La Roux, Cindy Lynn

Impossibile per l'allora nascente mercato cinematografico del porno resistere alla tentazione di rivisitare in chiave tripla X lo straordinario successo di Guerre Stellari, del resto cosa serviva per farlo? Un paio di maschere comprate in cartoleria, un vestito da scimmione usato in decine di pellicole e un trio di belle gnoccolone discinte che indossano caschi di plastica da saldatore. L'ambientazione poi si sviluppa tra esterni rubati all'archivio video della Nasa, conditi dalla solita voce fuori campo che ci fa uno pseudo spiegone serio, un interno astronave che sembra una cameretta con tanto di lettini a castello e sedie da ufficio high-tech, computer primordiali e pulsanti a leva rumorosi. 
La grafica computerizzata poi, talmente arcaica neanche a paragonarla ai videogiochi di quei tempi, il tutto introdotto da una serie di noiosissimi dialoghi che condiscono i primi dieci minuti mentre il pubblico in sala continua a chiedersi quando si inizia a scopare. E intanto giù di buchi neri, satelliti artificiali e reggiseni da striptease, questo per 9 minuti, poi un abbozzo di lesbo tra due bonazze stellari mentre ai loro piedi il finto scimmione se la russa alla grande, mentre viene praticato un cunnilings sentiamo in sottofondo i doppiatori che urlano e sbuffano totalmente fuori controllo, finchè la scimmia non si sveglia e finalmente si concede un threesome.
A quel punto l'astronave giunge sulla terra, gli attori simulano l'atterraggio vibrando le braccia a più non posso mentre sullo schermo compare la solita sequenza di stock footage accompagnati da una musica d'organo assordante. Armate di avveniristiche pistole ad acqua le tre babe si dirigono in un bar terrestre chiamato "The Anus" (!!!) dove, in un'atmosfera che vuol rinverdire il celebre bar spaziale di Star Wars incontrano tipi vestiti in modo assurdo fra cui il barista con la mascherona di gomma di Nixon, un tipo vestito con un lenzuolo e la maschera da guardia imperiale rubata tra gli scarti del film di George Lucas, robottini e formichieri umani che leccano patonze, poi una sorta di chewbecca che fuma il sigaro porta in camera le ragazze e tutte e tre si mettono a far pompini ad alieni e mostri vari. A quel punto arriva anche una brutta copia di Darth Vader accompagnato dalla guardia lenzuolata che rapiscono una delle babe, la quale per riuscire poi a fuggire dovrà stancare a colpi di sesso i suoi aguzzini. Ritornate nello spazio, le tre ragazze creano un gigantesco fallo nella galassia mentre il povero regista Jack Genero chiude in bellezza snocciolando in sequenza tutto il suo archivio di immagini di repertorio spaziale.

martedì 13 novembre 2012

IL MONDO DI YOR

(Id 1983)
Regia Antonio Margheriti
Cast Reb Brown, Corinne Cléry, Luciano Pigozzi

 Tratto dagli splendidi fumetti di Ray Collins e Juan Zanotto editi su Lanciostory a partire dagli anni '70, il film di Antonio Margheriti coglie a fagiolo l'occasione per sfruttare la vigente moda del post atomico per realizzare finalmente uno dei più importanti tasselli della sua lunga carriera, ovvero trarre un film da un fumetto, pratica allora molto rara ancora (però Spider-man l'avevano già fatto, almeno un tentativo) e comunque piena di risultati non incoraggianti ( a parte Bava con lo splendido Diabolik e Lenzi col discreto Kriminal).
Le gesta del preistorico cacciatore biondo (interpretato da Reb Brown) che combatte dinosauri di cartapesta in un mondo non bene imprecisato, con al fianco la splendida Corinne Clery e uno stuolo di pelosissimi quanto ridicoli barbari, diventa per l'Italia un mini serial di 4 puntate da un'ora ciascuno oltre ad un lungometraggio per il mercato estero che diventerà sorprendentemente un grande successo. Merito sopratutto della curiosa commistione tra fantasy, avventura e fantascienza che rendono il progetto particolarissimo nonostante che la consueta carenza di mezzi renda la confezione tutt'altro che un blockbuster. La scelta poi infelice di creare dinosauri a dimensione reale, in legno e gommapiuma, per rendere maggiormente enfatico il rapporto di fisicità tra mostro e attore, non rende sicuramente con il più nostalgico ma molto più efficace passo uno. Insomma mostri che aprono e chiudono la bocca come se fosse una persiana non aiuta sicuramente l'immedesimazione dello spettatore in un mondo selvaggio dove Yor è alla perenne ricerca dell'altra metà del medaglione che rappresenta lunica testimonianza delle sue origini.
Origini che, come scopriremo in seguito, appartengono ad una civiltà evolutissima quanto aliena, stabilitasi sul pianeta dopo le solite guerre atomiche che avevano devastato la terra natale. Altra scelta infelice, oltre alla comicità involontaria di vedere preistorici con barbe posticce, è l'attore protagonista, ridicolo col suo parruccone glam quanto idiota nella sua recitazione. Peccato perchè il buon Margheriti ce l'ha messa tutta per fare un bel film, e qua e là il genio torna a galla, il ritmo è buono e il film riesce a non annoiare. Insomma Yor, nel suo genere si staglia sopra la (bassa) media del periodo e la derivazione sci-fi del finale riesce anche a salvare il tutto con effetti più che discreti.
Nell'elenco del cast troverete un sacco di nomi strani...niente paura, il film è stato girato interamente in Turchia.

mercoledì 7 novembre 2012

GODMONSTER OF INDIAN FLATS

(Id. 1973)

33 anni prima del mediocre Black Sheep c'era già qualcun altro che aveva portato sullo schermo le pecore mutanti, ovvero il filmaker e artista Fredric Hobbs con questo suo delirante scult, ibrido demenziale tra western, thriller, horror e fantascienza, tutto miscelato perfettamente in un'atroce salsa weirdo che ne rende la visione imperdibile. La storia, inaspettatamente, è ben articolata e inizia con il pecoraio Eddie che, dopo una vincita alle slot machine, finisce ad ubriacarsi in un saloon (l'ambientazione però è ai giorni nostri, o meglio, degli anni settanta) dove tentano di rapinarlo, lo pestano e lo sbattono fuori.

Lo riaccompagna a casa il professor Clemens che ha un laboratorio scientifico nei pressi di un sito indiano, arrivato nel recinto delle pecore non si sa bene quali siano le intenzioni di Eddie ma quando prende su un agnellino comincia a vedere luci e ossa svolazzanti, pecore che gli volano addosso e strane forme lisergiche.

In preda allo shock sviene e il mattino dopo si ritrova con uno strano embrione di pecora insanguinato. Dopo averlo tirato su, il Professore porta la cosa nel suo laboratorio. Mentre il mostro prende forma assistiamo ad una serie di intrighi che vedono protagonisti il boss del paese, un nero pistolero che sembra uscito da "Mezzogiorno e mezzo di fuoco", un baffuto psicopatico e un cane che si becca una pallottola vagante, gli fanno il funerale in chiesa e si scopre che era vivo nella cassa. Il colpevole è il nero che viene assalito dal baffuto il quale ordisce un tranello e lo fa arrestare. Nottetempo arrivano dei pistoleri mascherati che lo prendono dalla cella e vogliono impiccarlo ma la pecora mutante si libera e comincia a uccidere tutti.
Un gruppo di cowboys armati di lazos catturano la pecora che viene esposta davanti alla gente del paese, a un certo punto scoppia un casino e la gente butta la pecora giù da un burrone facendola esplodere mentre il boss del paese sghignazza come se fosse il padrone del mondo. Giusto per dare un'idea del delirio vi basti sapere che una delle scene più scult vede il nero in prigione che cerca di attirare, cantando, l'attenzione del carceriere in canotta intento a mangiare, mentre la seconda scena weirdeggiante ci mostra invece l'assistente di Clemens che si mette a ballare con la pecora mutante. Non parliamo poi di quando il pecorone mannaro si rivela per quello che è, un claudicante costumone in cartapesta con la lingua di fuori e le braccia anteriori scompagnate che il poveruomo all'interno sventola come bandiere. Che dire poi del montaggio fatto a culo di cavallo come del resto mostra in primo piano il buon Hobbs in numerose sequenze, ovvero quando non è impegnato a riprendere parate in costume da vecchio west prese chissà dove. Lento come la morte, noioso oltre ogni dire, Godmonster ha dalla sua l'unicità del risultato e la creatura più ridicola che la storia del cinema ricordi.