mercoledì 13 marzo 2024

THE FLYING SAUCER

(1950) 

Regia Mikel Conrad 

Cast Mikel Conrad, Pat Garrison, Hantz von Teuffen 

Parla di “UFO avvistato nei cieli entra in piena guerra fredda e viene conteso da russi e americani” 

In questo film gli americani vedono un disco volante sfrecciare nel cielo accompagnato da un rombo assordante, spuntano i classici titoloni sui giornali, c’è perfino una vecchia che guarda lo schermo ed esplode in un urlo di terrore surreale. Tutto questo casino insomma e di cosa si preoccupano le alte sfere yankee? Di prepararsi al contatto con gli extraterrestri? Noooo! Di raccogliere evidenze scientifiche per migliorare la razza umana? Macchè! La preoccupazione più grande è che l’astronave venga carpita dai russi e usata per scagliare le bombe atomiche in ogni parte degli Stati Uniti. Un tipo di ansia che esprime perfettamente lo stato mentale e paranoide degli americani nell’immediato dopoguerra, forti della scoperta di un ordigno nucleare perfetto per lo sterminio di massa (si veda a proposito il recente Oppenheimer di Cristopher Nolan) e di una vittoria ottenuta con la cancellazione di due città giapponesi. 

C’è da dire che nel film di Mikel Conrad, gli alieni non vengono proprio menzionati poiché si sa, sin da subito, che l’astroveicolo è di manifattura umana. Pur essendo un’opera che apre sul grande schermo, ad un filone decisamente fantascientifico, questo The Flying Saucer sceglie strade più affini allo spionaggio e all’avventura anche se, le fattezze della macchina volante verranno prese a modello per realizzare un film di ben altro calibro nel cinema Sci-Fi quale è “La Terra contro i dischi volanti”. Del resto siamo comunque di fronte a un’operetta da quattro soldi, realizzata male e recitata anche peggio, con una sceneggiatura che grida vendetta ed effetti speciali in sovrimpressione che fanno ridere, dove il regista stesso si erge a protagonista (nonché autore e produttore) senza averne manco il phisique du role se non per fumare ininterrottamente e ubriacarsi in modo osceno. Il nostro eroe (che si chiama Mike) viene inviato in Alaska per indagare sui misteriosi avvistamenti di UFO e siccome deve fingere di essere un malato di nervi in cerca di riposo, lo accompagna pure una finta infermiera di nome Vee (Pat Garrison) che ovviamente si innamora di lui. 

Tra ridicoli scazzottamenti contro gli odiati russi e lunghissime carrellate aeree sui panorami di ghiacciai e distese deserte, il film riesce ad annoiare in appena un’ora e quindici con buchi di script che sembrano studiati per allungare il brodo (si veda l’inutile apparizione di un orso o le inutili camminate di Vee alla ricerca di Mike, misteriosamente scomparso anche se in realtà è steso ubriaco su una lastra di ghiaccio), da manuale la scena nella grotta dove Mike cattura uno dei russi e lo usa come scudo mentre il compare gli punta un mitra contro, c’è un momento di silenzio in cui si fronteggiano e poi il russo ostaggio si mette a urlare prima di essere mitragliato. Imbarazzante operazione di propaganda postbellica, cinema da guerra fredda, ridicolo e malfatto, The Flying Saucer ha anche dei difetti!  

giovedì 7 marzo 2024

O ESTRANHO MUNDO DE ZÉ DO CAIXÃO

(1968) 

Regia Jose Mojica Marins 

Cast Jose Mojica Marins, Luiz Sérgio Person, Oswaldo De Souza 

Parla di “horror estremo antologico dove è possibile godere appieno della macabra filosofia di Jose Mojica Marins” 

Presentato da un Jose Mojica Marins in primissimo piano, a colori, e visibilmente invecchiato (sequenza probabilmente inserita anni dopo rispetto alla realizzazione del film), questo horror antologico realizzato successivamente al secondo capitolo della trilogia di Coffin Joe (Esta Noite Encarnarei no Teu Cadáver) si compone di tre episodi dove il nostro amato autore pazzo brasiliano ci sforna altre prove della sua macabra filosofia, un horror che, nella sua estrema povertà non è scevro di momenti di alto cinema accompagnati da un gusto estremo per il sadismo, lo splatter e la necrofilia. Il primo episodio “il fabbricante di bambole” è abbastanza dozzinale, narra la storia di un vecchio artigiano famoso per il realismo delle sue creazioni e in particolare degli occhi che applica alle bambole, particolarmente realistici. 

Lo aiutano nel suo lavoro le sue quattro bellissime figlie. Una notte vengono assaliti da un gruppo di sconsiderati, attratti dal suo patrimonio. Quando i quattro delinquenti scoprono la presenza delle ragazze si abbandonano ad un festino di violenza carnale in cui Mojica Marins ostenta erotici primi piani di corpi femminili in penombra. Le attrici, tuttavia, non sembrano reagire allo stupro con particolare emozione, sembrano infatti oscillare tra l’apatia e un abbozzo di eccitazione sessuale. Scopriremo comunque che il vecchio fabbricante di bambole ha in serbo una brutta sorpresa per i quattro balordi. Il secondo episodio “Taras” racconta di un venditore di palloncini che stalkerizza una bellissima donna e, quando questa muore, si reca furtivo nella tomba per sfogare la sua passione necrofila. Realizzato praticamente senza dialoghi, questo cortometraggio è la cosa migliore mai realizzata dal regista brasiliano, uno splendido sunto autoriale della sua filosofia malata. 

Il terzo e ultimo episodio (Ideologia) riporta in auge il personaggio di Zé Do Caixão che si presenta nelle vesti dello scienziato Oãxiac Odéz ad un dibattito in cui afferma che l’istinto prevale sulla ragione e cerca di provarlo a danno del professore rivale e sua moglie, imprigionandoli a casa sua per sette giorni, legati e torturati senza cibo e acqua. Il film si chiude in un guazzabuglio di immagini in cui Jose Mojica Marins ci propina un bestiario di rospi, lucertole, serpenti e ragnoni che si mescolano insieme ad un’orgia cannibalistica dove il protagonista, ritrovatosi nelle iconiche vesti di Zé Do Caixão si abbandona felice a pasteggiare con dita e piedi delle sue vittime mentre schizofrenici fulmini disegnati sulla pellicola ci accompagnano alla parola Fine, o meglio alla parola FIM! 


giovedì 29 febbraio 2024

DEMONIA

(1990) 

Regia Lucio Fulci 

Cast Brett Halsey, Al Cliver, Meg Register 

Parla di “archeologi canadesi in Sicilia invischiati in una maledizione satanica generata dal rogo di quattro suore peccaminose” 

Gli anni novanta non sono certamente un bel periodo per il cinema di genere italiano, le produzioni sono sempre più raffazzonate, le distribuzioni sempre più limitate e la qualità latitante. Men che meno per il grande Lucio Fulci che, proprio in quegli anni deve confrontarsi con situazioni produttive imbarazzanti oltre che una serie di problemi di salute che declineranno inevitabilmente nella morte avvenuta nel 1996. Tra queste produzioni, che si contano sulle dita di una mano, compare purtroppo anche Demonia, terz’ultima opera del maestro, segnata da una serie disastrosa di problematiche tra cui il produttore Emilio Spagnolo che scompare durante le riprese senza lasciare traccia né liquidità oltre ad una serie di errori di fotografia che portarono Fulci a non voler firmare l’opera completata che venne in seguito distribuita esclusivamente in home video. 

Girato dalle parti di Siracusa, il film vede un gruppo di archeologi canadesi capitanati da Paul (Brett Halsey) e Liza (Meg Register) giunti nella cittadina di Santa Rosalia per scavare le vestigia dell’antica Grecia, si ritrovano invece immersi in maledizioni e superstizioni generate dalla leggenda di quattro suore votate al diavolo e bruciate vive nella Chiesa abbandonata in collina. Durante una perlustrazione Liza scopre dietro ad una parete i resti delle monache e da quel momento assistiamo ad una serie di omicidi, più o meno brutali e più o meno ridicoli. 

Lo skipper Porter (Al Cliver) viene fiocinato e la sua testa si ritrova attaccata all’ancora della barca, la medium Carla Cassola, dopo aver raccontato tutta la storia a Liza, viene assalita dai suoi gatti e deorbitata crudelmente (forse la scena più gore del film) mentre il povero macellaio Turi (Lino Salemme che era il punk cocainomane di Demoni 2) viene preso a colpi di carcasse di vitelli congelati nella cella frigorifera e successivamente l’effettista gli piazza un’enorme lingua di vacca in bocca per fargliela poi impalare con un chiodazzo sul tavolo. Gli ultimi 20 minuti poi sono un delirio totale culminante nello squartamento di uno dei membri dell’equipe davanti al figlio in un turbinio di sangue e budella che rimette in pace lo spettatore con il Fulci nazionale, il cui sadismo cinematografico è ormai ben noto a tutti i suoi estimatori (del resto nel film viene persino bruciato un neonato). Le sfocature errate realizzate da Luigi Ciccarese contribuiscono a dare un’atmosfera onirica all’opera che risulta comunque gradevole nel suo essere modesta ma dignitosa. Unico vero neo di Demonia, a parere di chi scrive, è la scialba musichetta realizzata da Giovanni Cristiani, totalmente disconnessa dalle immagini che pretende di accompagnare. 

giovedì 22 febbraio 2024

CLASS OF NUKE 'EM HIGH 2: SUBHUMANOID MELTDOWN

(1991) 

Regia Eric Louzil e Donald G. Jackson 

Cast Lysa Gaye, Leesa Rowland, Brick Bronsky 

Parla di “Risorta città di Tromaville si trova invischiata in un progetto di creazione di una nuova razza di subumanoidi che si sciolgono all’improvviso” 

 “Squadra che vince non si cambia”  

Sembra invece che i detti popolari non interessino molto a Lloyd Kaufman e Michael Herz, padroni e produttori della celeberrima Troma Entertainment, perché nonostante il successo e l’aura di Cult Movie assoluto ottenuta negli anni da Class of Nuke’em High, decidono, cinque anni dopo, di cambiare tutto per realizzare il seguito. Via quindi il cast al completo mettendo come protagonista il biondo e gonfiatissimo wrestler Brick Bronsky nella parte del reporter sfigato Roger Smith, via il regista Richard W. Haines e al suo posto Eric Louzil  (coadiuvato da Donald G. Jackson) che realizzerà anche il terzo capitolo Class of Nuke 'Em High 3: The Good, the Bad and the Subhumanoid. 

Persino i luoghi di ripresa furono cambiati, passando dalla suburbia newyorchese al caldo dell’Arizona (Yuma), spostamento questo che si palesa come la probabile causa del cambio radicale della Crew. Ovviamente tutti questi cambiamenti hanno prodotto delle conseguenze, purtroppo negative, con il risultato di un prodotto ai limiti dell’amatoriale, sottotono e decisamente meno spassoso del precedente. Dopo la distruzione di Tromaville, la società Nukamama ricostruisce da capo la città,  gestendone in toto l’amministrazione. Vediamo quindi uomini in tuta antiradiazioni gironzolare tra i liquami  per raccogliere scarti fuoriusciti dalla centrale nucleare e spruzzare i giovani liceali, impegnati costantemente a picchiarsi, trombare e ubriacarsi, in special modo la squadra degli scoiattoli capitanata da un ributtante ciccione vestito di borchie e pantaloncini in pelle. 

Sempre a caccia di uno scoop, il povero Roger decide di partecipare ad un esperimento sessuale organizzato dalla scienziata Melvina Holt (Lysa Gaye) dotata di una ridicola pettinatura che sembra un’enorme banana. Roger fa quindi sesso con Victoria (Leesa Rowland), un subumanoide creato in laboratorio e dotato di una seconda bocca sulla pancia. Scopo della scienziata è realizzare una serie di schiavi in laboratorio in grado di fare i lavori più umili e subire senza sofferenza alcuna le angherie dei giovani teppistelli locali. Roger però si innamora perdutamente di Victoria e viene a scoprire il terribile progetto organizzato dal sindaco di Tromaville, dotato di una vocetta stridula e irritante, ovvero che i subumanoidi, dopo un certo lasso di tempo, si sciolgono e diventano delle assurde pallette pelose dotate di occhi e zanne. Oltre alle solite scorribande di teddy boys, tanto garage punk immerso in stanzette affrescate da coloratissimi graffiti, in questo secondo capitolo si rincara la dose di culi e tette che dominano costantemente la scena, manca lo splatter estremo tipico della Troma, ridotto a qualche scarso effetto di body – melt, mentre si segnala nel finale l’attacco di uno spassosissimo quanto orrendo Scoiattolo Godzilla che sembra uscito da un incubo espressionista di Jim Henson.  

venerdì 16 febbraio 2024

BATWOMAN – L’INVINCIBILE SUPERDONNA

(La mujer murciélago, 1969) 

Regia Renè Cardona 

Cast Maura Monti, Roberto Cañedo, Armando Silvestre 

Parla di “supereroina rubata alla DC comics e trasformata in lottatrice deve affrontare mostro subacqueo rubato a Jack Arnold” 

Questa pellicola del prolifico Renè Cardona è una bizzarra creatura cinematografica divenuta, negli anni ottanta, un punto di riferimento della programmazione televisiva sulle reti private, negli orari pomeridiani.  Nello specifico la componente weirdo principale è l’assurda mescolanza di generi, dove si ruba letteralmente alla DC comics un personaggio creato nel 1956 da Bob Kane e da Sheldon Moldoff e lo si trasforma in una luchadora, ovvero una delle pittoresche lottatrici mascherate che tanto successo riscontravano nel cinema latino (in particolare quello messicano dove è stato prodotto il film) nel tentativo di creare una nuova icona al femminile in grado di bissare il successo del grande El Santo. 

A questa già strana combinazione si rincara la dose mettendo in scena un plot fantascientifico dove si richiama nientemeno che Il Mostro della Laguna Nera in versione economica, ovvero con un costume da uomo pesce visibilmente plasticoso dove la maschera sembra un incrocio tra un camaleonte e una mosca, mentre il colore rossastro della tuta fa sembrare il gill-man ispanico un enorme gamberone umanoide. La trama vede una serie di lottatori ripescati in mare e privati chirurgicamente della ghiandola pineale. Ad indagare viene chiamata la supereroina Batwoman (interpretata dall’attrice milanese Maura Monti), che come il suo compare Bruce Wayne, è una ricca annoiata che eccelle in tutti gli sport (sebbene noi la vediamo esibirsi esclusivamente nel tiro a segno e a cavallo). 

A tempo perso la donna si maschera da pipistrello e da consigli alle altre luchadores ma, di fatto, nel film non partecipa a nessun incontro. Fa decisamente sorridere la tuta grigia con cui si presenta agli allenamenti, anche perché sembra renderla goffa e appesantita. Meno male che, per il resto del film la vedremo in bikini, immersa nelle profondità del mare, attaccata ad un siluro in miniatura. In ogni caso si scoprirà la presenza dell’ennesimo professore pazzo (coadiuvato dall’aiutante che, guarda caso, si chiama Igor) che cerca di creare un uomo pesce (ma il motivo di siffatto esperimento non ci verrà rivelato) chiamato Itticus (un nome, una pescheria!). 

Dopo una colluttazione con la nostra eroina, il mad doctor ne uscirà sfregiato con l’acido e griderà vendetta con il proposito di trasformare Batwoman in una donna pesce, ma i piani diabolici verranno sventati proprio dal buon Itticus che ad un certo punto, grazie ad uno stratagemma della protagonista, impazzisce e massacra tutti i cattivoni. Pur nella sua assurdità, il film è abbastanza scorrevole, forte di un’esigua durata e di molte scene di azione, anche se alcune decisamente ridicole. Certo non poteva mancare nel finale, la rivalsa maschile. Dopo tanta esibizione di eroismo al femminile, in cui l’uomo viene relegato a personaggio negativo (i cattivi ad esempio) o comunque inetto e inefficiente (vedi il compagno di Batwoman che le prende continuamente dal pesciolone) basta un topolino a terrorizzare Batwoman e a riportarla nell’universo del sesso debole, tra risate a profusione dei partner uomini che possono finalmente riconsiderare la loro superiore mascolinità. 

giovedì 8 febbraio 2024

ZAAT

(1971) 

Regia Don Barton e Arnold Stevens 

Cast Sanna Ringhaver, Marshall Grauer, Paul Galloway 

Parla di “scienziato pazzo diventa un pesce su due gambe e si aggira nelle paludi in cerca di vendetta” 

Partendo dal presupposto che realizzare un monster movie negli anni ’70 era già, di base, un suicidio produttivo (Vedi anche il ridicolo “Octaman”), il film (L’unico mai realizzato, per fortuna) di Don Barton e Arnold Stevens (non accreditato nei titoli) presentava l’aggravante di essere fatto pure con i piedi, con un costume di plastica, gomma, piume di struzzo (???) e un mascherone di cartapesta simile a quelli dei film messicani tipo “La Nave dei Mostri” dove, oltre alle ridicole fattezze, non ci si curava di nascondere le lenti di plastica al posto degli occhi. Dopo un incipit dove si passa il tempo a inquadrare pesci gatto e polpi vari, vediamo uno scazzatissimo personaggio, che dovrebbe essere uno scienziato matto ma sembra un perfetto imbecille, iniettarsi uno strano liquido fosforescente con un siringone gigante e successivamente farsi il bagno dentro una vasca circolare. 

L’obiettivo è la mutazione da uomo a pesce (ma perché?) e infatti il nostro eroe riemerge dalle acque trasformato in una brutta copia del Gill Man da “Il mostro della Laguna nera”, a metà tra un orsetto di peluche muffoso e un grottesco alieno da B-Movie degli anni cinquanta. Insomma, già dalle premesse, Zaat risulta un film invecchiato male, a questo poi aggiungiamo una trama ridicola dove si assiste alla vendetta del mostro nei confronti di un paio di scienziati, la cui foto è attaccata a colpi di chiodo su un tabellone circolare pieno di strani diagrammi stranamente simile a quello de “Il pranzo è servito”. Dopo aver aggredito le sue vittime intente a pescare, uccidendole in modo ridicolo (uno viene praticamente sfiorato dal mostro e cade morto in maniera assurda) l’uomo-triglia decide che è ora di farsi una compagna. 

Il nostro rapisce, dunque, una bionda campeggiatrice, le inocula il liquido e la immerge nella vasca, ma qualcosa non funziona e la donna muore. Il povero pesciolone non può fare altro che sciogliere il corpo nell’acido. Ma le strane morti non lasciano indifferenti le autorità che assumono la INPIT (Inter Nations Phenomena Investigation Team) ovvero una coppietta vestita con tute arancioni che si getta nelle paludi a caccia del mostro. In una collutazione la creatura rimane ferita e la vediamo dare di matto all’interno di una farmacia alla ricerca di un beverone che, alla fine, gli fa più male che bene. La scena più assurda rimane comunque quella dove lo sceriffo sente un urlo per le strade (il mostro massacra una coppietta), si infila in una scuola dove un gruppo di Hippie si dedica alla musica. Vediamo quindi una parata surreale di figli dei fiori con strumenti al seguito che viene condotta direttamente in prigione. 

Sorretto da una fotografia insolitamente buona, rumori subacquei nelle lunghe scene di caccia nella palude e un montaggio allucinogeno dove ogni tanto spunta qualche immagine che non c’entra nulla (riciclaggio di qualche rullo avanzato) il film si conclude in maniera quasi poetica con il mostro ferito che si immerge nel mare mentre cerca di portarsi dietro due galleggianti rossi il cui uso rimane un mistero. Dietro di Lui anche la protagonista femminile (Sanna Ringhaver) ovvero la bionda Martha degli INPIT che, dopo essere stata rapita per diventare la nuova moglie del mostro (vediamo infatti il pesciolone intento a disegnarla su carta come prossima vittima), decide assurdamente di seguirlo nelle acque marine. Assurdo, malfatto, demenziale quanto volete, ma Zaat rimane comunque un’esperienza unica per chi ama il cinema weird e come tale non posso che consigliarne la visione. 

giovedì 1 febbraio 2024

AMOK TRAIN – IL TRENO

(1989) 

Regia Jeff Kwitny 

Cast Mary Kohnert, Bo Svenson, Alex Vitale 

Parla di “ promessa sposa di Satana fugge su treno ma il diavolo s’impossessa dei convogli e la riporta indietro” 

Se si volesse racchiudere in una definizione tutto il cinema del produttore e regista Ovidio G. Assonitis (Chi sei?, Stridulum, Tentacoli, ecc. ecc.) il termine da coniare potrebbe essere “TrashBuster”, ovvero l’accorpamento (alquanto improbabile, già!  Eppure lui c’è riuscito!)  del cinema spazzatura con la produzione mainstream. Della serie “abbiamo i soldi, perché non farci un brutto film?”. Ecco quindi che al confine con gli anni novanta, il nostro Ovidio mette in piedi una bella produzione Italo-Jugoslavo-americana, cioè in piena guerra fredda un paese della cortina di ferro si aggrega con il grande satana americano per realizzare un film!!! Un film, peraltro, che parla di riti satanici, stregonerie, anticipando l’horror folk che tanto va di moda oggigiorno, con una trama bislacca, dal finale assurdo che mi vergogno quasi a raccontarlo. 

La protagonista è Beverly (Mary Kohnert) una studentessa americana di origini serbe che, insieme ad altri studenti, si reca in Jugoslavia per un viaggio culturale. Che la ragazza sia di quelle parti lo capiamo perché la madre, prima della partenza, cerca di parlarle in serbo ma la figlia si incazza. Poi la madre, dopo averla accompagnata, si becca un travone di metallo caduto da un TIR sulla faccia e muore. Ignara del recentissimo lutto Beverly giunge a destinazione e con gli altri, incontra il professor Andromolek (Bo Svenson) con tanto di pizzo luciferino, mantello e bastone in argento, quasi provenga dal set di Angel Heart – Ascensore per l’inferno in qualità di sostituto del buon Robert De Niro. Il gruppo arriva in un paesino sperduto dove le case sembrano costruite sugli alberi e i villici continuano a battere su dei sassetti rompendo i coglioni in continuazione. C’è pure una vecchia cieca che sembra uscita dal film La Casa (Evil Dead) che fa una zuppa, a quanto pare, buonissima. 

Nella notte, le capanne prendono fuoco, tutti gli studenti riescono a uscire in tempo tranne uno che rimane impietrito nel letto e, di conseguenza, muore carbonizzato. Spaventati dalla generale atmosfera, i ragazzi fuggono nei boschi, vedono un treno che arriva e ci si fiondano sopra, tranne due ragazzi che rimangono a terra, uno con la gamba fratturata. All’interno i ragazzi trovano un controllore comprensivo che non gli fa la multa, i due macchinisti però muoiono, uno inghiottito dalla fornace, l’altro maciullato. Per farla breve, Beverly doveva essere offerta a Satana durante un rito centenario, fugge sul treno, il diavolo si impossessa del treno e comincia a uscire dai binari per riportare la vergine al cospetto del diabolico sposo. Il resto del film vede il treno infilarsi un po' ovunque, arriva persino dentro la palude per far fuori i due ragazzi rimasti a terra. A nulla servono i tentativi del quartier generale ferroviario (che parlano solo in slavo e quindi non si capisce nulla) per fermare l’avanzata dei convogli maledetti. Tentano pure con dei camion carichi di cemento posizionati sulla ferrovia ma niente! Il treno avanza, fa un frontale con un’altra locomotiva ma ne esce indenne. 

Nel frattempo, al suo interno i ragazzi vengono decimati in maniera decisamente pittoresca. Una delle studentesse (la più stronza) dopo aver limonato con il fidanzato, comincia a sputare vermi e gli si scarnifica tutta la faccia, il suo ragazzo viene tranciato in due da una catena, un altro viene impalato dalla sbarra di un casello ferroviario. Alla fine rimane solo Beverly che incontra un giovane vestito da frate seduto a terra a suonare il flauto, i due copulano facendo perdere a Beverly la verginità e rovinando in modo drammatico il rito satanico a cui era destinata. Alla fine scopriamo che il flautista era una specie di santo vissuto nel medioevo e dedito alla lotta contro il male, con tutti i mezzi quindi, anche rinunciando al voto di castità (‘mazza che sacrificio!! Un Martire proprio!). Ecco, quest’ultima situazione, oltre a certe scene imbarazzanti, al limite dell’incredulità oltre ad una recitazione non propriamente celeberrima, rendono quest’opera assimilabile al cinema bizzarro, nonostante il film sia comunque fatto bene, con una produzione dignitosa e una buona fotografia che, soprattutto nelle sequenze del villaggio slavo, riesce anche a lanciare sensazioni inquietanti. 

Ma il finale, sconclusionato e imbarazzante, riesce a trasportare quello che poteva essere un discreto b-movie, nell’olimpo del cinema trash, complici anche il ridicolo effetto della scarnificazione del professor Andromolek nel finale (che poteva andare bene negli anni quaranta, forse…) e il ridicolo incubo conclusivo, inutile riempitivo per un’opera già di per sé troppo lunga. In America è conosciuto come Beyond the Door III, maldestro tentativo dei distributori, di accorparlo con i film “Chi Sei?” (Beyond the Door) diretto dallo stesso Assonitis (qui invece gira un regista americano anonimo, scovato nelle patatine) e “Shock” (Beyond the Door II) di Mario Bava, in un’improbabile trilogia satanica.